La Storia dell'Olio d'Oliva
- OLIO dal Paradiso Terrestre agli Etruschi
Sulla tomba di Adamo, seppellito sul monte Tabor, nacque la pianta dell'ulivo il cui seme proveniva dal paradiso terrestre. Un ramoscello d'ulivo venne portato a Noè dalla colomba per annunciargli la presenza della prima terra riemersa dopo il diluvio universale. Omero ci racconta che Ulisse costruì il suo letto nunziale con il tronco di un grande olivo. E non c'è scrittore dell'antichità classica che non faccia cenno all'olio e alla coltivazione della pianta che lo offre. Ma la saga che più direttamente ci interessa per il ns. taccuino è quella che così narra. “Un giorno lontano Atena e Poseidone si scatenarono l’uno contro l’altra per il possesso dell’Attica. Così intervenne Zeus il padre degli dei che tuonò: - la terra spetterà di diritto a chi dei due saprà beneficiare l’umanità del dono più utile. Poseidone batté il tridente sulla schiuma del mare ed usci il cavallo. Atena percosse la lancia sulla terra e uscì l’olivo. Né staccò un ramoscello e lo donò al padre vincendo la gara.” Gli Etruschi fecero propria questa leggenda e, per giustificare l’abbondanza degli uliveti in Etruria, raccontavano che Minerva (Atena) aveva battuto la sua lancia soprattutto sul territorio aretino. L’olivo per gli etruschi era pianta sacra, tanto che le sacerdotesse ne esibivano i rami durante le processioni. L’oliva dal gusto amarognolo, venne “addolcita” con tecniche che variavano dalla salamoia, all’immersione nell’acqua profumata con finocchio secco e frutti del lentisco. L'olio d'oliva, decretato prodotto “nazionale” ed esportato come il vino in tutto il Tirreno, aveva vari impieghi. Di eccellente qualità ideale come condimento per ogni cibo. Di grande quantità utile per accendere il fuoco, per alimentare le lucerne e per massaggiare i muscoli di militari ed atleti.
- Olio tra medicina, piacere e religione
Già Ippocrate raccomandava l’olio in casi di ulcere, e nell’antica Roma si raccontava l'aneddoto di quel centenario che doveva la sua longevità all'uso costante di olio d'oliva. Plinio scrive: "Ci sono due liquidi che fanno molto bene al corpo umano: il vino per uso interno e l'olio per uso esterno".Questo grande autore latino ha tracciato numerose ricette curative che utilizzano quasi tutto dell'olivo:
-le foglie, per il forte potere astringente e depurativo, usate schiacciate, mischiate a olio e applicate come impacchi contro le ulcere e i mal di testa;
-il decotto con miele per togliere le infiammazioni;
-il succo ottimo per gli occhi arrossati, preparato schiacciando le foglie e versandovi del vino e dell'acqua piovana;
-l'acqua espulsa dal tronco dell'olivo bruciato verde, ideale come cicatrizzante;
-la corteccia delle radici di un olivo giovane, presa con miele per guarire le espettorazioni purulente.
Oltre che per finalità mediche i Romani impiegano l’olio anche per i piaceri del corpo:
-dopo il bagno alle terme per massaggiarsi la pelle;
-prima degli esercizi fisici in palestra, soprattutto i lottatori e i corridori, per ungersi il corpo, riscaldare i muscoli, e per proteggersi contro gli sbalzi di temperatura. Alla fine, uno spesso strato di sabbia, sudore e olio ricopre il corpo dello sportivo; proprio questa miscela, dopo essere rimossa con lo strigile, strumento apposito a forma di serpente, viene raccolta dal maestro del ginnasio per essere rivenduta ad usi medici, un commercio molto redditizio secondo Plinio.
I primi cristiani trasformarono l'olio anche in un simbolo religioso, utilizzandolo per ritualizzare i vari momenti della vita, dal battesimo all'estrema unzione.
- L'olio dei Romani e suo splendore
All'apogeo della civiltà romana l'olivicoltura era una delle branche più sviluppate dell'agricoltura. Per spremere le olive erano utilizzati dei contenitori di pietra, sui quali i frutti deposti venivano pestati con mazze, bastoni o appositi utensili. I "negotiatores oleari", riuniti in collegi di importatori, erano i soli commercianti abilitati a trattare l'"oro verde". Le contrattazioni delle partite avvenivano nella "arca olearia", una vera e propria borsa specializzata. Gli autori latini che trattano l'agricoltura sono prodighi di consigli su come produrre l'olio. Nulla è lascito al caso: dalle varietà più adatte alla potatura, ai sistemi di raccolta, fino alle tecniche di frangitura. Plinio e Columella, per citare solo alcune fonti, censiscono dieci varietà diverse di olivi, e l'olio viene classificato in cinque categorie: -"Ex albis ulivis" l'olio più pregiato ottenuto da olive verde chiaro;
-"Viride" generato da frutti che stanno annerendosi;
-"Maturum" frutto di olive mature;
-"Caducum" prodotto da frutti raccolti per terra;
-"Cibarium" spremuto da olive bacate e destinato agli schiavi.
Come tutte le prelibatezze era costoso: Plinio ricorda che il cavolo non era un piatto economico perché doveva essere condito con olio. Virgilio, dal canto suo, suggerendo una ricetta di agliata, consigliava l'uso di tanto aglio, tanto aceto, ma solo "poche gocce di olio". L'olio assunse un ruolo fondamentale per la tavola e la cultura dell'epoca imperiale, tanto che Giulio Cesare costrinse le province vicine dell'impero a consegnare alla città molti litri di olio come tributo annuale. Il frutto dell'ulivo godeva di una tale considerazione che, in una civiltà basata su una rigida struttura militare e sul reclutamento obbligatorio, i cittadini che piantavano almeno un iugero (circa 2.500 metri quadri) di ulivi venivano dispensati dalla leva. Sempre in quest'epoca le olive venivano servite anche nei pranzi più importanti, sia all'inizio che alla fine del pasto. Conservate in salamoia erano snocciolate, tritate e mescolate con il miele. I primi sintomi della crisi di tanto splendore oleario si avvertirono nel III sec. Il progressivo abbandono delle campagne alla cura degli schiavi, e le continue elargizioni degli imperatori, svuotarono le riserve di olio italico; la produzione nella nostra penisola diminuì e Roma anche per il suo consumo interno iniziò ad attingere alle sue province spagnole e africane. La caduta dell'impero romano e le invasioni barbariche interruppero i contatti commerciali, facendo decadere l'olio da pianta sacra a specie rustica poco significativa.
- L'olio nel Medioevo e suoi riti
Durante l'alto medioevo la distruzione delle campagne portò anche all'impoverimento degli oliveti. Fu dal XII sec., grazie soprattutto agli ordini monastici (olio rituale), che venne dato nuovo impulso all'estrazione del succo d'oliva. Gli uliveti aumentarano in tutta la Penisola, soprattutto in Toscana, dove anche la borghesia commerciale scoprì nella produzione e nel commercio dell'olio una fonte importante di guadagno. Il valore del liquido verde era elevato, veniva utilizzato per tenere accese le luci sugli altari, per cerimonie come la cresima o l'ordinazione dei cavalieri, e per l'estrema unzione. Se nella cucina antico romana l'olio era uno dei condimenti principali, nella quotidianità della tavola medievale che posto aveva? Non certo di primo piano: se ne faceva un uso molto parsimonioso, mentre erano indispensabili in cucina: il lardo, lo strutto, la sugna. Il maiale viveva il suo momento d'oro, soprattutto nell'Italia settentrionale il lardo era il "fondo di cucina" per eccellenza, e il “tempus de laride” (tempo del lardo) rappresentava una delle scansioni del calendario contadino pastorale. Alcune eccezioni a questi usi si rintracciavano:
-al Sud e al Centro fra i ceti alti, dove l’olio veniva consumato come condimento dei cibi a crudo, o come grasso alternativo nei giorni di magro e di quaresima (dal XII sec. fu ammesso anche il burro per le focacce e i dolci, mai per cuocere);
-sulle navi che solcavano il Mediterraneo, dove l’olio assieme alle spezie serviva per condire i cibi dei marinai, come il pesce seccato, la carne salata e le gallette.
- L’olio dal Rinascimento al ‘700
Per l'olivo XVI e il XVII sec. sono tempi duri a causa di guerre, disordini amministrativi, rivolgimenti politici, devastazioni dei campi. L'agricoltura è prostrata ed il mercato oleario è in crisi. Tutta l'area mediterranea è coinvolta. Gli alberi resistono ma i raccolti sono pessimi, specialmente nell'Italia meridionale dove imperversa la disastrosa dominazione spagnola. Due sono le oasi di stabilità in questo periodo di abbandono: Sardegna e Toscana. -La prima deve la sua rinascita nel campo dell'olivicoltura a un vicerè spagnolo, Giovanni Vivas, che trova macchie dell'isola coperta di ulivi selvatici e ordina di innestarli, offrendone la proprietà a chi lo fa. La seconda, la Toscana dei Granduchi, vive un periodo di importanti riforme e di saggia amministrazione. Cosimo I dà vita a uno stato moderno e organizza l'agricoltura: ogni paese riceve terre gratuite, e deve ridistribuirle ai capifamiglia con un bassissimo canone purché vengano trasformate in vigneti e uliveti. Se nella piccola proprietà predomina la vigna, l'olivo trova più spazio nelle grandi proprietà, la “fattoria”. Il ‘700 secolo dei lumi, a olio naturalmente, porta con sé una smisurata richiesta. La popolazione cresce, l'olio è presente in casa sia sulla tavola che per i vari usi quotidiani. L'industria si sviluppa a ritmo incalzante: chiedono olio soprattutto i settori del tessile, della lana e del sapone. Le grandi nazioni, Inghilterra, Belgio, Francia, Russia, Germania, sprovviste del dono degli dèi scendono in Italia a cercarlo. Il mercato mondiale si avvia allo scambio liberistico, il prezzo dell'olio sale fino a moltiplicarsi per dieci. Coltivare olivi è ormai un guadagno sicuro. L'olio italiano è il più pregiato e il più richiesto. Caterina, zar di tutte le Russie, riceve in regalo dallo studioso Giovanni Presta un cofanetto in legno d'olivo che contiene un campionario dei migliori oli italiani. L'olio meridionale, insaccato in otri di capra, veleggia sicuro verso il nord dell’Europa. Il mercato raggiunge i massimi profitti e i veneziani, per adeguarsi al volume d'affari, costituiscono una specie di consorzio chiamato "Negozio di Ponente".
Il Settecento è il secolo dell'olio ligure, la coltura dell'olivo diventa il migliore investimento, rafforzato oltre che dalle promesse di guadagno, dai provvedimenti legislativi che ne incoraggiano la coltivazione. Terre incolte e boschi piantati a oliveto non pagano imposte per quarant'anni. Si bonifica per esempio tutto il litorale ionico calabrese coprendolo di olivi a perdita d'occhio. In questo periodo l’olio è anche presente costantemente nei testi di medicina, come base per unguenti portentosi e creme benefiche; addirittura il medico del Delfino di Francia, lo consiglia puro per molti acciacchi, dalle coliche agli avvelenamenti, alla stitichezza.
- L'olio dall’800 ai giorni nostri
Nel XIX secolo l'olivo continua ad avanzare sulle colline italiche: c'è bisogno d'olio per le lampade e le tavole di una popolazione in aumento, e per un'industria sempre più fiorente. L'olivo è parte fondamentale della piccola e media proprietà, un solido investimento. Il potere pubblico ne incoraggia l’impianto, e l'Umbria si copre di olivi in un decennio seguendo l’invito di Pio VIII, che nel 1830 promette il premio di un “Paolo”, il guadagno di una giornata per un bracciante, a chi metta a dimora e allevi fino a 18 mesi una pianta. Passano gli anni, e in Liguria per motivi politici, dopo il distacco dal grande mercato dell'impero francese, l'olio locale cede il mercato a quello di Puglia e Toscana. Poi, dalla seconda metà del secolo, a seguito di avverse condizioni climatiche e di malattie che colpiscono le piante, in alcune zone dell'Italia meridionale si abbattono gli ulivi per avere legna. La produzione scende, e l’inizio del ‘900 non porta variazioni di rilievo, solo qualche oscillazione tra annate più o meno favorevoli. Sono gli anni Trenta a dare il via ad un periodo particolarmente felice, grazie a leggi che promuovono in tutta Italia l'olivicoltura. Negli anni successivi alla guerra mondiale, il prestigio della pianta sacra ha una flessione, la cucina tradizionale italiana viene bollata come rozza, popolare, povera. Sono in auge i cibi d'oltreoceano, le abitudini nordiche sembrano più civili, il burro più nobile dell'olio, e le nostre tavole sorridono alle margarine industriali. Lo splendore dell'olio d'oliva decade insieme alla perfezione del latte materno: sembra che questi tesori della natura non si usino più. Fortunatamente con gli anni ‘80, per la riscoperta di sapori più naturali e genuini, l'olio riprende il suo posto di re della tavola.